Martedì 21 aprile 2009
La vita
|
2007 Dà il via ad attività di educazione ambientale con scuole primarie e secondarie, tuttora in corso, che sviluppano diversi progetti nell’ambito della biodiversità.2008 Iniziano i rapporti con le università ed escono le prime tesi sui ricci, portando nel centro lavori di ricerca scientifica molto importanti - ad esempio sull’etologia del riccio.
|
Ricci rimessi a
nuovo
nella clinica tutta per loro
MARINA SETTI biologa, emiliana doc, da anni cura e riabilita ricci ammalati nell'unica clinica italiana, a Reggiolo (RE), che si occupa di loro: Sos Ricci.
Come hai scelto di diventare la
paladina di questi piccoli animaletti?
Perché ho scoperto che dei ricci nessuno si occupa. In Italia
esistono centri di soccorso per animali selvatici piccoli e
grandi, ma nessuno che si prenda cura esclusivamente dei ricci.
Così ho fondato un Cras (Centro di Recupero di Animali Selvatici,
ndr) riconosciuto dalla provincia
e dalla regione che mi autorizza ad accogliere tutta la
microfauna, ma specializzato per i ricci.
Quindi
nessun trauma infantile da esorcizzare dietro questa scelta...
No, di fondo c’è una
immensa passione per l’animale indifeso, in difficoltà. Forse
tutto è cominciato alla Lipu, dove curavo i rapaci. Un giorno ci è
capitato un piccolo riccio: oltre a lui ci siamo trovati in
difficoltà anche noi. Documentandomi sono incappata in
un’associazione, la Pro Riccio Svizzera della Protezione Animali
di Bellinzona. Forse hanno intuito la mia sensibilità: fatto sta
che sono venuti personalmente e mi hanno convinta ad aprire il mio
centro. Al quale, economicamente, provvedo da sei anni con il mio
stipendio di impiegata part-time (diversamente non potrei
occuparmi del centro) in un poliambulatorio di medici di famiglia.
Niente finanziamenti?
No, e la situazione dal
punto di vista dei costi è insostenibile. Radiografie per piccoli
traumi interni, esami del sangue per scoprire eventuali
parassitosi, narcotico per le anestesie, veterinario, cibo. Tutto
ha costi elevatissimi.
Lanciamo un sos allora...
Sì, magari ci ascoltano.
Per ora sto ancora aspettando una risposta alla richiesta di
sovvenzionamento che ho avanzato alla Regione. Da anni porto
infatti avanti un progetto di sensibilizzazione con le scuole di e
fuori provincia. Per ora a mie spese. Domani chissà.
In Europa centri come il tuo sono
invece diffusi...
Sì, solo in Inghilterra
ci sono decine di ospedali medici. Ma centri di recupero e
addirittura cliniche specializzate si trovano in nord Europa, in
Austria, in Germania e in Spagna.
Dove ricevono magari soldi
pubblici...
C’è un’attenzione
diversa. Anche perché avere un riccio in giardino è considerato
normale. In Inghilterra il riccio è quasi un animale domestico: ci
si prende cura di lui, lo si nutre, gli si dà l’antiparassitario,
si provvede che abbia acqua nei periodi estivi.
Qual è la prima causa di morte?
Diversamente da quanto si
crede non è l’impatto con l’automobile la prima causa di morte del
riccio: anemia o intossicazioni da veleno fanno molte più vittime.
L’animale che mi arriva più spesso è il riccio che ha mangiato la
lumaca, che ha mangiato il lumachicida. Micro dosi di veleno che,
quando non sono letali nell’immediatezza, agiscono durante il
letargo. Si depositano nel grasso che l’animale usa per
sopravvivere mentre dorme. E così passa dal sonno alla morte.
Che vitaccia!
Difficilmente il riccio
supera l’anno di vita. Due i motivi: alla nascita la mortalità è
del 70% perché alto è il rischio che la mamma muoia (auto, zecche,
pesticidi, decespugliatori) o abbandoni il nido spaventata da
rumori o altri animali (cani, gatti, faine). C’è poi la mortalità
del letargo, al cui termine, per cause come sottopeso e
parassitosi, non si risveglia l’80% dei ricci. In cattività o con
un piccolo aiuto questi animali possono invece vivere anche sette
anni. La mia Pandora ne ha quasi sei!
Che altro attenta alla vita dei
ricci?
Le zecche sono terribili,
perché innescano un’anemia così profonda che il riccio non ha
nemmeno più la forza per mangiare. Per questo il centro si sta
attrezzando - in via sperimentale e sempre con mezzi propri - per
trasfusioni da un esemplare all’altro. Dei ricci però non
conosciamo il gruppo sanguigno, occorre quindi fare ricerca - cioè
servono soldi. Che non ho.
Con più soldi salveresti più ricci
insomma.
Ma scherzi? Si potrebbe
salvarne molti ma molti di più. Con enormi vantaggi per l’habitat
- e quindi per noi: i ricci sono infatti ottimi “indicatori
biologici” dello stato di salute dell’ambiente.
Dopo tutto quello che fai per loro,
i ricci danno segno, in qualche modo, di riconoscerti?
Certo! Il mio unico
dispiacere è quando - generalmente prima dell’inverno - mi portano
degli esemplari sottopeso. Per rimetterli in forma devo
“manovrarli” quotidianamente - controllare gli aculei, pesarli,
nutrirli. Quando non morsicano più, quando gli aculei sono bassi,
allora capisco che il distacco sarà duro. E poi: quando l’animale
“sa” che sarò con lui si mette in agitazione, mi aspetta. Perchè
vuole il cibo, desidera essere pulito, magari fare anche una
passeggiatina.
Come riconosci i tuoi piccoli
ospiti?
Tengo numeri e schede di
ingresso per codice colore che applico con lo smalto per unghie
sugli aculei - il chip lo metto quando li libero. Ma li riconosco
soprattutto dal musetto, dallo sguardo, dal temperamento. Se me ne
scappa uno dalla gabbia e non guardo il numero che è fuggito, io
so chi è perché ho osservato a lungo questi animaletti. Che mi
ripagano con grandi dosi di dolcezza e tenerezza.
In passato ti sei presa cura dei
pipistrelli, oggi dei ricci. Domani?
Dei miei figli, che oggi
hanno 14 e 17 anni. Si sono dovuti adeguare a una mamma che ama
troppo gli animali. Ho poi un progetto al quale tengo molto, che è
corteggiatissimo dalle università. A partire dallo stato di salute
dei miei ricci, che vengono da tutte le zone d’Italia, punta a
rivelare lo stato di salute delle nostre regioni. Perchè
l’educazione ambientale è fondamentale.
Laura Zangarini