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enero, irresistibile, dormiglione e… pungente! È il riccio, un piccolo mammifero
un tempo molto comune sia in campagna sia negli
orti e nei giardini ai margini delle città. Eppure, oggi, sono in pochi a conoscerlo davvero. Forse perché è molto più difficile godere
della sua presenza visto che questa tenera creatura è
sempre più minacciata. Insomma, lo “stress”
della vita moderna ha messo in difficoltà anche lui che, piccolo e schivo com’è, non si mette certo in mostra per reclamare aiuto. Per
fortuna, però, qualcuno si è preso a cuore il suo destino e ha deciso di dedicarsi alla sua protezione con amore, pazienza
e scienza! Questo “qualcuno” è Marina Setti, una giovane biologa emiliana protagonista di un’avventura animalista entusiasmante e
singolare. Forse la maggior esperta italiana di questo delizioso mammifero insettivoro, Marina
Setti è la responsabile di un centro di recupero per i ricci sorto con l’aiuto del Wwf vicino a Reggio Emilia, tra i comuni di Reggiolo e
Novellara.
Tanta organizzazione
Il centro S.O.S Ricci sorge in un’area protetta ed è un vero e proprio paradiso
attrezzato, recintato e privo di pericoli dove gli animaletti malati o i piccoli rimasti orfani possono trovare tutto ciò che serve loro: assistenza
veterinaria specializzata, un piccolo stagno, prati e cespugli, casette per la convalescenza e tanto buon cibo! Per sensibilizzare le nuove
generazioni all’amore per gli animali, il centro si
è dotato anche di un’area didattica dove le scolaresche in visita possono imparare a conoscere i ricci da vicino senza disturbarli. Marina
è entusiasta di quest’ultima iniziativa: “Dopo due ore di osservazione dei ricci, anche
i bambini più vivaci mantengono ancora un atteggiamento da “guardia svizzera” che neanche il più avvincente videogioco riesce a indurre!”
Ma non è tutto: c’è anche una zona adibita al
letargo monitorato, nella quale gli animali possono passare l’inverno controllati quotidianamente se, all’arrivo della stagione fredda,
sono ancora troppo debilitati o sottopeso per essere reinseriti in natura.
Ritorno in natura
Lo scopo principale di Marina è far sì che questi simpatici animali possano, una volta guariti o cresciuti, riprendere
in piena autonomia la loro vita selvatica nello stesso luogo dove sono stati trovati. Questo è molto importante perché i ricci sono creature
dotate di un forte senso dell’orientamento e di un profondo
attaccamento al territorio tanto che riescono a riconoscere i cespugli sotto i quali sono nati o vissuti semplicemente osservandone l’ombra!
Se, invece, il luogo dove l’animaletto è stato soccorso è diventato ormai pericoloso o inagibile allora la
liberazione viene effettuata nell’area protetta adiacente al rifugio.
Amore a prima vista
Ma come nasce l’amore di questa giovane donna per i ricci? Dopo la laurea in biologia e una carriera in alcune aziende farmaceutiche, Marina non è
più riuscita a “tenere a bada” la sua passione per gli animali e ha
iniziato a occuparsi di rapaci collaborando con la Lipu. È stato allora che il primo riccio si è messo sul suo cammino e, tenero e ispido
insieme… ci ha messo poco a rubarle il cuore! Nel 2002 Marina viene a sapere che nel
paese svizzero di Maggia era sorto un Centro di Cura per i Ricci per opera di Alex Andina ed Elsa Hoffmann della Società Protezione
Animali di Bellinzona.
Anche per loro, l’amore per questi animaletti era
nato in modo del tutto imprevisto, grazie a un riccio di tre etti che in una gelida giornata d’inverno aveva deciso di “parcheggiarsi”
davanti alla porta della loro cucina!
Consigli per difenderli
Fu così che Marina, dopo aver frequentato un corso di
specializzazione nel Centro di cura di Maggia, decise che era tempo di portare in Italia l’esperienza che aveva maturato. Nonostante siano protetti
dalla legge 157 del 1992 che ne vieta la caccia, nel nostro paese, infatti, i ricci sono molto poco considerati rispetto a quanto avviene nei
paesi del Nord Europa, dove i centri di recupero per questi animaletti sono una realtà molto diffusa.
Insomma, in Italia, per i ricci non sono tutte rose e
fiori: le insidie si nascondono dappertutto. Se le automobili sono la prima causa di morte, anche la diffusione delle monocolture e dei
pesticidi ha fatto la sua parte. Ma tanti pericoli mortali si nascondono anche nel nostro giardino! Per
aiutare i ricci e regalar loro una vita un po’ più serena Marina ha tanti consigli da darci: ascoltiamola!
Precauzioni in giardino
Anche se amiamo le piante esotiche, non trasformiamo
il nostro giardino in un angolo tropicale che non attirerebbe gli insetti “nostrani”, la principale fonte di sostentamento del riccio. Stiamo
molto attenti ai decespugliatori che li feriscono mortalmente e, quando bruciamo i cumuli di foglie o di rami secchi, controlliamo sempre che
sotto non abbia trovato il suo rifugio uno di questi animaletti. Anzi, se vogliamo fargli un favore, non
teniamo il giardino troppo pulito dai “rifiuti” naturali: se lasciamo a sua disposizione una fascina di rami, lo invoglieremo a crearsi
propriò lì la sua tana dove, magari, potrà far nascere e allevare i piccoli in tranquillità! Andiamoci
piano con i diserbanti che per i ricci sono un vero veleno: nella migliore delle ipotesi finiscono con l'intossicarli.
Pericolo acqua
Anche tombini, pozzetti, fontane e piscine sono delle
vere e proprie trappole! Cerchiamo sempre di coprire il nostro specchio d’acqua con una griglia o, almeno, di montare
semplici scalette di risalita. I ricci sanno nuotare ma non sanno uscire dall’acqua! Anche le recinzioni sono un pericolo:
posizioniamole ad almeno quindici centimetri da terra. Eviteremo così che il nostro nuovo amico rimanga impigliato con i suoi aculei! Attenzione
anche al capanno degli attrezzi: il riccio è agile e riesce a infilarsi in fessure molto strette. Siccome ama i luoghi riparati, potrebbe
decidere di trascorre le ore di luce lì dentro: facciamo
attenzione quando apriamo la porta o spostiamo vanghe e rastrelli. Infine, facilitiamogli la vita lasciandogli un piattino d’acqua durante la
stagione estiva: Marina ci tiene a dire che sono tanti
i ricci che muoiono di sete o arrivano al centro in gravi condizioni di disidratazione.
Curiamo un orfanello
La mortalità dei piccoli fino allo svezzamento è altissima: raggiunge addirittura il 70 per cento! Trovare
un cucciolo di pochi giorni lasciato solo e volerlo aiutare è automatico ma attenzione! Prima di toccarlo aspettiamo qualche ora per
accertarci che la sua mamma non torni. Se lo
toccassimo e poi la madre tornasse, lo rifiuterebbe perché sentirebbe su di lui il nostro odore. Solo quando avremo la certezza che si tratta
di un orfano preleviamolo delicatamente e portiamolo a casa.
La cosa più giusta da fare è portarlo immediatamente
dal veterinario, perchè il “fai da te in questi casi è molto pericoloso. Nell'attesa, teniamolo al caldo: la
temperatura dell’ambiente deve essere intorno ai trentacinque gradi. Una boule d’acqua calda avvolta da un maglione da mettere nella sua
cuccia (una scatola di cartone) andrà benissimo!
Il latte giusto
Se decidiamo di ospitarlo per qualche tempo in attesa di trovargli una sistemazione idonea dobbiamo
chiedere alla polizia provinciale il permesso provvisorio di detenzione per cura: si tratta di un animale selvatico tutelato dallo Stato e non
di una creatura domestica!
Per quanto riguarda la sua alimentazione, facciamoci
consigliare dal veterinario il tipo di latte artificiale giusto per lui. Si tratta di uno specifico surrogato di latte per cagnolini a
bassissimo contenuto di lattosio. Il latte di mucca, ma anche il normale latte per lo svezzamento di cani e gatti, procurerebbe all'orfanello una
gastroenterite fatale. Nutriamolo ogni tre ore con
qualche goccia di questo specifico latte tiepido.
Un libro per convivere
Per stimolare le funzioni fisiologiche del piccolo, massaggiamogli
il pancino delicatamente con un dito inumidito di olio di oliva o di mandorle. Solo a partire dalla quarta settimana (il veterinario ci
aiuterà a stabilire l’età) possiamo svezzarlo utilizzando un po’ di pappa per gatti ammorbidita in acqua tiepida. E poi? Se
fa parte di una nidiata primaverile possiamo lasciarlo libero mentre se è nato a settembre o ottobre accertiamoci che pesi almeno 500 grammi,
altrimenti non avrebbe le riserve di grasso sufficienti per sopportare il periodo del letargo invernale. In questo caso, dovremo “rassegnarci” a farlo
svernare in casa godendo per qualche mese della sua compagnia! In entrambi i casi, per avere consigli su come convivere con lui tra le quattro
mura di casa o su dove liberarlo, una buona idea è… contattare Marina! Stavamo dimenticando… tra
poco i suoi consigli li troveremo anche in libreria: sta per uscire la sua prima opera sui suoi amici con gli aculei. Il titolo? “Il Riccio -
Ci sono anch’io!”