Natura Il riccio è in pericolo: salviamolo
Adottiamo una palla di spine
di Gabriella Montali
Novellara (Reggio Emilia), gennaio.
Con l'anno nuovo, adottiamo a distanza un riccio (Erinaceus europaeus), paghiamo cioè cibo e medicinali per il popolare porcospino terrore delle vipere, fino a qualche anno fa comune inquilino delle nostre campagne e che oggi rischia l'estinzione, vittima dei
pesticidi e dei tanti automobilisti distratti che lo investono. Come fare? Semplice. Basta telefonare, scrivere o inviare direttamente denaro (l'offerta è libera) al centro SOS RICCI (338-71.99.857); info@sosricci.it; coordinate bancarie: Credem P 03032 - 66440 - 01.000.000.
6970), l'unico "ospedale" italiano per porcospini malati oppure orfani. E' interamente destinato alla riabilitazione di questi minuscoli mammiferi che esistevano già sessanta milioni di anni fa (prima del mammuth!) e che oggi stanno scomparendo.
"E' così: proprio in ragione del suo lunghissimo passato evolutivo, il riccio è un bioindicatore ideale", spiega Marina Setti, la biologa volontaria che da due anni coordina SOS RICCI, la health-farm per porcospini provenienti da ogni dove, affogata nella nebbia delle valli di Novellara. "Nelle
migliaia di aculei-spia, come in altrettanti depositi", riprende la dottoressa Setti, autrice di Il riccio, ci sono anch'io!, "i ricci trattengono i più micidiali veleni che intossicano il nostro ambiente: arsenico, cadmio, piombo. In qualche modo consentendoci di valutarne l'impatto anche
sulla nostra salute. Insomma: noi, forse, salveremo il riccio. Ma è già certo che lui prestandosi alle nostre mirate osservazioni sta già contribuendo al miglioramento della qualità della vita di tutti noi.
Le ricerche scientifiche su questi insettivori (che restituiamo allo stato selvatico appena guariti) le conduce Dino Scaravelli, zoologo dell'università di Bologna. Collabora con SOS RICCI insieme con il veterinario Pierfrancesco Bertoni e con la naturalista Carolina Jimenez. Insomma, siamo un'equipe
piccola ma affiatata: il salvataggio dei nostri animaletti in difficoltà coinvolge ogni momento libero della nostra esistenza. Io, che pure sono sposata e mamma di due figli, non vado in vacanza da anni per dedicarmi alle mie "palle di spine".
In questo periodo ho 60 ricoverati adottabili, tutti sottopeso". continua la dottoressa. "Non raggiungono i g 400 (dovrebbero pesare circa g 700) e se non li mettessi all'ingrasso nel nostro centro (dove si cibano di carne tritata, banane e mele) morirebbero. Capita la stessa cosa a tutti i ricci
che nascono in autunno, frutto di parti tardivi, troppo magri per sopravvivere all'inverno e alle esigenze del letargo. Automobilisti attenti (quelli che avvistandoli non li investono) li portano qui dopo averli raccolti lungo la strada: disidratati, con il "coperchio" di spine afflosciato, sembrano
prugne secche.
"Poveri ricci: con il freddo che fa, non sanno dove trovare cibo. Gli insetti di cui sono ghiotti stanno sparendo dalle nostre campagne devastate dalle monocolture. Così, tentano l'avventura ed emigrano verso i sobborghi delle grandi città in cerca di qualcosa di cui nutrirsi. Ma facendolo
rischiano moltissimo. Per esempio, attraversando le strade su cui corrono le automobili il loro destino è spesso segnato.
Oppure, capita loro di finire in tombini, pozzetti lasciati aperti, fontane o piscine. E anche in questo caso, pur sapendo nuotare, spesso non riescono ad uscire dall'acqua e affogano. Altre volte finiscono sventrati dai tosaerba o rimangono impigliati in reti metalliche non sollevate da terra. Eppure, per
evitare la strage, basterebbe "rialzarle" di dieci centimetri. Un accorgimento rispettato nei giardini di Svizzera, Austria e Gran Bretagna. Lì i porcospini sono protetti non solo dalle leggi dello Stato, ma anche da cartelli segnaletici con la scritta "Attenti al riccio" e dai sottopassi.
Lì i centri di recupero per porcospini feriti sono numerosi. In Italia ci siamo solo noi.
Ora ci troviamo nel periodo dell'anno "più economico": da settembre ad aprile, ai ricci basta poco cibo (spendiamo solo un euro al giorno). Da maggio a fine agosto, invece, accumulano "ciccia" e nutrirli costa molto di più. Allora, i piccoli abbandonati dalle mamme si lamentano,
cercano la poppata in continuazione. Mangiano ogni tre ore, giorno e notte, togliendoci il sonno. Dovete sapere che questi piccoli, come tutti i porcospini intolleranti al lattosio, si nutrono solo di Esbilac (che viene importato dagli Stati Uniti), il sostituto del latte che più somiglia al
latte di mamma riccia. Il guaio è che costa molto: 24 euro ogni confezione da g 170.
Il latte Esbilac lo inietto con siringhette da insulina, senza ago. E' davvero una vitaccia nutrirli e perfino medicarli. Quando hanno bisogno di cure, spesso, dobbiamo praticare loro l'anestesia totale, per evitare che mordano: hanno 23 denti!! Lo facciamo, per esempio, quando arrivano nel nostro centro
con le ossa rotte, magari sfracellati da un pirata della strada.
Ma il "palla di spine" in realtà è un tenerone, e io che gli dedico la mia vita da cinque anni lo so bene", sottolinea la biologa. "L'ho capito fin dalla prima volta in cui mi sono imbattuta in un riccio: era piccolissimo e gemeva per il dolore delle ferite. Era rimasto vittima degli
artigli di un gufo. Allora facevo la "dottoressa dei rapaci" per un'organizzazione di ornitologi. Falchi, gufi e civette erano i miei beniamini. Ma la sorte di quel piccolo riccio, vittima dei "miei" pennuti mi colpì moltissimo. E mi ha cambiato vita".
In effetti, vedere quel musino spuntare sotto la dura corazza di aculei fa davvero tenerezza. Forse adottare un riccio farebbe bene anche a noi.